Frastornato.
Ovattato.
Stordito.
Potrei continuare così, ma penso di aver reso l’idea.
Il cancello principale è stato finalmente aperto e ora si tratta solo di far defluire ciò che era trattenuto all’interno. Non più ostacoli (si spera) ma passi obbligati da fare. Si cammina, ma senza più incontrare porte sbarrate. In teoria.
(E lo so che continuo a mettere le mani avanti, ma quando ti sei rotto il naso non sai più quante volte, hai paura anche a soffiartelo).
Uno penserebbe che in una situazione del genere la prima sensazione che provi sia quello di un peso che si toglie. Di leggerezza.
Non è così.
La prima sensazione è quella che probabilmente prova un terreno umido quando si solleva il piede che è rimasto posato a lungo. Rimane l’impronta e, all’inizio, sembra quasi che sia sbagliato, che quel vuoto non sia normale.
Ed è così, non è normale, quel vuoto. Ma quel vuoto non va riempito dal piede, non è il suo posto. Dovrà essere riempito dal terreno stesso, dalla sua sostanza, dal suo corpo. Dovrà tornare a prendere possesso di ciò che è suo. Della sua identità.
Ma all’inizio quello che si percepisce è solo quella, l’impronta.
Pian piano sparirà. Pian piano.
Prima o poi.
Ma almeno quel piede si è alzato.